Caso di don Nello Giraudo

Una lettera sul caso di don nello Giraudo inviata l’8 novembre 2003 da monsignor Calcagno, all’epoca capo della diocesi di Savona-Noli, al capo della Congregazione per la dottrina della fede, mons. Joseph Ratzinger

Una lettera sul caso di don nello Giraudo inviata il 22 febbraio 2006 da monsignor Calcagno, all’epoca capo della diocesi di Savona-Noli, al promotore di Giustizia presso la Congregazione per la dottrina della fede, mons. Charles Scicluna

Una lettera sul caso di don nello Giraudo inviata il 29 marzo 2010 da monsignor Ladaria, all’epoca segretario della Congregazione per la dottrina della fede, a mons. Vittorio Lupi che in quel tempo era capo della diocesi ligure di Savona-Noli.

"Anamnesi di una vittima"

Testo di Francesco Zanardi – Savona, 7 luglio 2011

Come fare bungee jumping senza la corda, in pochi secondi rivedi ciò che ricordavi bene, ma non vedevi più da anni. Ieri ho rivisto dopo tantissimi anni la mia prima “fidanzatina”, non che non l’avessi mai più rivista, molto semplicemente non avevamo più parlato dell’infanzia, ieri lo abbiamo fatto. In pochi minuti siamo arrivati all’argomento che più mi è a cuore in questo momento, la pedofilia e mi è tornato in mente un episodio di abusi subiti da don Nello Giraudo, c’era anche lei e altri sei ragazzini, credo che sia stata l’unica volta in cui Giraudo mi risparmiò. 

Un vero e proprio bungee jumping nella mia testa, un ricordo che non avevo affatto rimosso, tutt’altro in quel momento mi sono ritornate anche le emozioni di quella notte, gli odori, il gelo che mi teneva immobile e la paura. L’unico particolare anomalo è il punto da dove inquadro tutta la scena, inquadro anche me e la mia fidanzata, quasi io fossi una telecamera. Non ho idea del perché stia mettendo questo su un pezzo di carta, quasi come se avessi paura che questo ricordo si nasconda nuovamente. Autunno del 1986, io avevo 16 anni da tempo Giraudo abusava di me, non sarei mai andato a quella macabra gita se non fossero venuti anche gli altri ragazzi. 

La mia fidanzata aveva quasi 15 anni, gli altri ragazzi pressappoco la stessa età, tra i 14 e i 16, era un sabato pomeriggio, partimmo per la casa di Dronero. Onestamente non saprei dire se gli altri ragazzi maschi fossero già stati abusati da Giraudo, probabilmente non tutti, ma dopo quella notte si. Non ricordo come passammo la giornata, sinceramente non ricordo neppure la casa, ricordo solo l’interno di quella stanza, dove ero già stato abusato in passato. C’era un letto enorme a due piani, fatto con putrelle di metallo e assi appoggiate sopra, si dormiva con i sacchi a pelo.

Venne l’ora più attesa dal pedofilo, quella di andare a dormire. Ci fece mettere i sacchi a pelo al piano superiore, lui si sistemò sotto. Io e la mia fidanzata unimmo i nostri sacchi a pelo, per dormire vicini, non c’era un secondo fine almeno per me, all’epoca ero già totalmente sessuofobico, probabilmente a causa dei traumi che all’ora vivevo come un vergognoso segreto tra me e il mio carnefice. Ma quella notte quel segreto unì per sempre tutti noi. Ricordo che io e la mia fidanzata dormivamo sul lato sinistro del letto, la scala per salire era sul destro, tra noi e la scala, dormivano in fila i nostri amici.

Don Nello entrò nella stanza ma non si accorse subito che io e la mia fidanzata avevamo unito i sacchi a pelo. Salì e in pochi minuti cominciò a parlare di sesso, le classiche domande imbarazzanti che si possono rivolgere ad un ragazzino per circuirlo, dopo pochi minuti cominciò a dare colpetti nelle parti intime ai miei amici finché non arrivò vicino noi e si accorse dei sacchi a pelo uniti. Esplose in un attacco inaudito di violenza fisica, soprattutto contro la mia fidanzata che per sua fortuna era dietro di me, il volto rosso e gli occhi fuori dalle orbite, non durò molto per fortuna. Don Nello Giraudo uscì dalla stanza, io ero il più grande, lo avevo già visto impazzire in quel modo mente abusava di me, eravamo tutti terrorizzati, in quella casa isolata.

Qualche mia reazione, per un attimo forse riuscì a dare coraggio a tutti, vennero dalla mia parte, quasi come si sentissero più al sicuro, probabilmente era solo l’illusione creata dal fatto che ero abituato a vedere don Nello Giraudo in quel modo, fui l’unico a non rimanere scioccato in quel momento. Anche la mia ex fidanzata ricorda ancora oggi che in quel momento si sentiva al sicuro vicino a me. Eravamo in quella stanza, sapevamo che prima o poi Giraudo sarebbe dovuto rientrare, non ho idea di quanto tempo passò, avevamo tutti paura. Nello rientrò ancora visibilmente arrabbiato/alterato.

Mi ordinò di dividere i due sacchi a pelo, ricordo che non riuscivo a muovermi perché non sapevo cosa decidere, riemerge fortissimo il senso di protezione che sentii per i miei amici, pensai che se mi fossi alzato dal sacco a pelo li avrei lasciati più vulnerabili, si erano messi tutti dietro di me. Riuscii a reagire pensando che fosse la cosa migliore, pensai che fosse gelosia da parte di don Nello per la ragazza che avevo vicino.

Credevo che sarebbe finito tutto, ma non andò così. Terrorizzati posizionammo nuovamente i sacchi a peli, lui spense la luce e si sdraiò al piano di sotto, nessuno di noi fiatava, tutti zitti, limitavamo anche il respiro, svegli e attenti a qualsiasi rumore fino a che non si senti lo scricchiolio della scala di legno che portava al piano superiore. Cominciammo a sentire cigolare le assi, il rumore delle cerniere dei sacchi a pelo, poi qualche timido lamento tra vergogna e paura, il rumore affannoso del respiro di don Nello, portò giù la prima vittima. Un lasso di tempo interminabile nel quale tutti oramai terrorizzati aspettavamo il nostro turno.

Nessuno di noi intervenne, non so cosa potevano immaginare gli altri, ma io sapevo perfettamente quello che accadeva. La mattina successiva non era più un segreto per nessuno, ciò che era accaduto lo avevamo tutti molto chiaro in mente, anche la mia fidanzata, fu l’unica che riuscì a reagire e riferire l’episodio alla mamma. Non ne parlammo più, neppure tra di noi, almeno fino a ieri quando parlando con lei è riemerso tutto, compresa la lucidità comune che avemmo in quel momento.

Riflessione: Restai diverso tempo con questa ragazza, avevo 20 anni circa quando ci lasciammo, non riuscivo ad affrontare la mia paura del sesso, scappai da tutti e imparai a mentire, soprattutto a me stesso, per anni. Chissà quanto ha influito quella notte su tutti i presenti, sul nostro orientamento sessuale, sulle nostre vite, sulla mia relazione con lei. Sulla mia vita ho tutto abbastanza chiaro, chissà cosa ricordano le altre vittime di quella notte, non ho il coraggio di andarlo a chiedere, forse dovrei prima che questa specie di bomba ad orologeria esploda nella loro testa, forse lo sto facendo con questo scritto che magari leggeranno su Facebook o chissà dove.

Dai ricordi di due fidanzati adolescenti, S. C. e Francesco Zanardi

Il cardinale Tarcisio Bertone e il prete pedofilo seriale

Il cappellano della Saint John’s School di Milwaukee Lawrence Murphy violentò oltre 200 scolari sordomuti di età inferiore ai 12 anni tra il 1950 e il 1974. Solo a metà anni Settanta fu trasferito dal proprio vescovo in un’altra diocesi dove, a suo dire, non commise più abusi. In base a un dossier reso pubblico nel 2010 dal “The New York Times”, è emerso che solo nel 1996 l’arcivescovo di Milwaukee, monsignor Weakland, aveva informato del caso il cardinale Ratzinger, all’epoca prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In un primo momento, l’allora segretario di Ratzinger, Tarcisio Bertone, apparve deciso a istruire il processo canonico. Informato del rischio di essere ridotto allo stato laicale, Murphy (che ammise tutti i suoi crimini quando oramai erano prescritti) scrisse ai suoi futuri giudici ecclesiastici di essere pentito e malato, e chiese di evitare il processo. Una linea di condotta probabilmente studiata a tavolino dal sacerdote pedofilo, poiché lo psichiatra assunto dalla diocesi di Milwaukee per esaminarlo aveva scritto chiaro e tondo nel rapporto conclusivo: «Non si rende conto del male fatto e sembra insensibile alle cure». Passano un paio di anni e il 30 maggio 1998, al termine di un summit in Vaticano in cui si deve decidere il da farsi, a Murphy viene intimato di «riflettere sulla gravità del male fatto» fino a quando non darà «prove di ravvedimento». La punizione viene comminata da Tarcisio Bertone, poi segretario di Stato vaticano, nel corso di un incontro con monsignor Girotti, don Antonio Manna dell’Ufficio disciplinare, padre Antonio Ramos, monsignor Weakland, il suo vescovo ausiliare, monsignor Skiba, e monsignor Fliss, vescovo di Superior. Il resto è storia; Murphy muore il 21 agosto dello stesso anno senza aver mai speso una parola per le vittime. Ma non è l’unico a mantenere un rigoroso silenzio. Secondo quanto scritto nel documento ‘confidenziale’ protocollato n. 111/96 – facente parte del dossier di “The New York Times” – che riassume le fasi dell’incontro, Weakland nota che in caso di processo si correrebbe il «pericolo di grande scandalo qualora il caso venisse pubblicizzato dalla stampa». Ecco di nuovo la ‘ragion di Stato’. Ma per una volta non è il ‘bene della Chiesa universale’ a prevalere all’atto della decisione finale. A calare la pietra tombale sulla vicenda del pedofilo serial killer ci pensa il cardinal Bertone osservando, in quella stessa sede, che il processo è inutile «per la difficoltà dei sordomuti a testimoniare senza aggravare i fatti».

«Queste persone non si fermano mai»

Era l’inizio degli anni 90 e frequentavo la prima media, il mio professore di religione, nonché prete coadiutore del parroco don Alberto Lucchina, cominciò ad abusare di me. Tutto continuò per 4 anni, fino al suo trasferimento nella parrocchia di Corsico e Cesano Boscone.

Ho purtroppo impiegato molti anni per capire che non fosse colpa mia… mi ha rovinato la vita ed i rapporti interpersonali con l’altro sesso; ciò che doveva essere una scoperta naturale in un percorso d’amore, a causa sua, si è tramutata per me in un incubo. 

Solo ora, dopo tanti anni trovo il coraggio di parlarne con voi, a darmi la forza il fatto che qualche mese fa, leggendo un articolo sul Giornale di Segrate, scopro che don Alberto, dopo tanti anni è stato trasferito nella parrocchia di Inzago.

Nell’articolo si dice che lascia “senza fanfare, com’è nel suo stile, schivo. Nessuna messa di commiato, nessuna festa in oratorio, nessuna intervista nonostante il Giornale di Segrate abbia provato a raccoglierne sensazioni ed emozioni.

In quel momento è scattato qualcosa in me, non so cosa, sicuramente un senso di liberazione ma al tempo stesso il senso di colpa per non aver parlato prima. Poi un dubbio, che quel trasferimento così “schivo”, fosse dovuto ad altri abusi. Qui qualcosa, credo un forte senso di colpa, mi ha dato la forza di parlare con voi e chiedervi di aiutarmi a fermarlo.

Queste persone non si fermano mai, continuano a predare, vanno fermate e adesso che ho capito il perché di quello che ho passato nella mia vita, il male che come a me potrebbe fare ad altri, mi sento in dovere di impedirlo.

Lettera firmata

Fonte: Rete L’Abuso

Il 5 maggio 2022 don Alberto Lucchina è stato condannato a 5 anni da un tribunale ecclesiastico. Durante questo periodo potrà esercitare il sacerdozio solo presso una Casa di riposo per anziani, con sospensione da attività con minori. Grazie al supporto di Rete L’Abuso,  per la prima volta è stata ammessa in udienza la presenza di un legale “laico”, l’avvocato della vittima.

Per approfondire leggi qui