Ci sono oltre duemila anni di annullamento della realtà umana del bambino dietro la cultura che ancora oggi sottovaluta o “giustifica” i crimini pedofili fino ad arrivare materialmente a proteggere, come nel caso della Chiesa, gli adulti violentatori. Ne parliamo in questa sezione del database attraverso articoli e approfondimenti con l’obiettivo anche di chiarire cosa è la sessualità, cosa bisogna fare quando si viene a conoscenza di una violenza subita da un bambino, a chi rivolgersi e a chi non rivolgersi per denunciare

Andrea Masini: Quella mostruosa cecità nei confronti della realtà umana dei bambini

Ci sono oltre duemila anni di annullamento della realtà umana del bambino dietro la cultura che ancora oggi “giustifica” i crimini pedofili fino ad arrivare materialmente a proteggere – come nel caso della Chiesa – gli adulti violentatori. Ne parliamo con lo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini

"Anamnesi di una vittima"

Testo di Francesco Zanardi – Savona, 7 luglio 2011

Come fare bungee jumping senza la corda, in pochi secondi rivedi ciò che ricordavi bene, ma non vedevi più da anni. Ieri ho rivisto dopo tantissimi anni la mia prima “fidanzatina”, non che non l’avessi mai più rivista, molto semplicemente non avevamo più parlato dell’infanzia, ieri lo abbiamo fatto. In pochi minuti siamo arrivati all’argomento che più mi è a cuore in questo momento, la pedofilia e mi è tornato in mente un episodio di abusi subiti da don Nello Giraudo, c’era anche lei e altri sei ragazzini, credo che sia stata l’unica volta in cui Giraudo mi risparmiò. 

Un vero e proprio bungee jumping nella mia testa, un ricordo che non avevo affatto rimosso, tutt’altro in quel momento mi sono ritornate anche le emozioni di quella notte, gli odori, il gelo che mi teneva immobile e la paura. L’unico particolare anomalo è il punto da dove inquadro tutta la scena, inquadro anche me e la mia fidanzata, quasi io fossi una telecamera. Non ho idea del perché stia mettendo questo su un pezzo di carta, quasi come se avessi paura che questo ricordo si nasconda nuovamente. Autunno del 1986, io avevo 16 anni da tempo Giraudo abusava di me, non sarei mai andato a quella macabra gita se non fossero venuti anche gli altri ragazzi. 

La mia fidanzata aveva quasi 15 anni, gli altri ragazzi pressappoco la stessa età, tra i 14 e i 16, era un sabato pomeriggio, partimmo per la casa di Dronero. Onestamente non saprei dire se gli altri ragazzi maschi fossero già stati abusati da Giraudo, probabilmente non tutti, ma dopo quella notte si. Non ricordo come passammo la giornata, sinceramente non ricordo neppure la casa, ricordo solo l’interno di quella stanza, dove ero già stato abusato in passato. C’era un letto enorme a due piani, fatto con putrelle di metallo e assi appoggiate sopra, si dormiva con i sacchi a pelo.

Venne l’ora più attesa dal pedofilo, quella di andare a dormire. Ci fece mettere i sacchi a pelo al piano superiore, lui si sistemò sotto. Io e la mia fidanzata unimmo i nostri sacchi a pelo, per dormire vicini, non c’era un secondo fine almeno per me, all’epoca ero già totalmente sessuofobico, probabilmente a causa dei traumi che all’ora vivevo come un vergognoso segreto tra me e il mio carnefice. Ma quella notte quel segreto unì per sempre tutti noi. Ricordo che io e la mia fidanzata dormivamo sul lato sinistro del letto, la scala per salire era sul destro, tra noi e la scala, dormivano in fila i nostri amici.

Don Nello entrò nella stanza ma non si accorse subito che io e la mia fidanzata avevamo unito i sacchi a pelo. Salì e in pochi minuti cominciò a parlare di sesso, le classiche domande imbarazzanti che si possono rivolgere ad un ragazzino per circuirlo, dopo pochi minuti cominciò a dare colpetti nelle parti intime ai miei amici finché non arrivò vicino noi e si accorse dei sacchi a pelo uniti. Esplose in un attacco inaudito di violenza fisica, soprattutto contro la mia fidanzata che per sua fortuna era dietro di me, il volto rosso e gli occhi fuori dalle orbite, non durò molto per fortuna. Don Nello Giraudo uscì dalla stanza, io ero il più grande, lo avevo già visto impazzire in quel modo mente abusava di me, eravamo tutti terrorizzati, in quella casa isolata.

Qualche mia reazione, per un attimo forse riuscì a dare coraggio a tutti, vennero dalla mia parte, quasi come si sentissero più al sicuro, probabilmente era solo l’illusione creata dal fatto che ero abituato a vedere don Nello Giraudo in quel modo, fui l’unico a non rimanere scioccato in quel momento. Anche la mia ex fidanzata ricorda ancora oggi che in quel momento si sentiva al sicuro vicino a me. Eravamo in quella stanza, sapevamo che prima o poi Giraudo sarebbe dovuto rientrare, non ho idea di quanto tempo passò, avevamo tutti paura. Nello rientrò ancora visibilmente arrabbiato/alterato.

Mi ordinò di dividere i due sacchi a pelo, ricordo che non riuscivo a muovermi perché non sapevo cosa decidere, riemerge fortissimo il senso di protezione che sentii per i miei amici, pensai che se mi fossi alzato dal sacco a pelo li avrei lasciati più vulnerabili, si erano messi tutti dietro di me. Riuscii a reagire pensando che fosse la cosa migliore, pensai che fosse gelosia da parte di don Nello per la ragazza che avevo vicino.

Credevo che sarebbe finito tutto, ma non andò così. Terrorizzati posizionammo nuovamente i sacchi a peli, lui spense la luce e si sdraiò al piano di sotto, nessuno di noi fiatava, tutti zitti, limitavamo anche il respiro, svegli e attenti a qualsiasi rumore fino a che non si senti lo scricchiolio della scala di legno che portava al piano superiore. Cominciammo a sentire cigolare le assi, il rumore delle cerniere dei sacchi a pelo, poi qualche timido lamento tra vergogna e paura, il rumore affannoso del respiro di don Nello, portò giù la prima vittima. Un lasso di tempo interminabile nel quale tutti oramai terrorizzati aspettavamo il nostro turno.

Nessuno di noi intervenne, non so cosa potevano immaginare gli altri, ma io sapevo perfettamente quello che accadeva. La mattina successiva non era più un segreto per nessuno, ciò che era accaduto lo avevamo tutti molto chiaro in mente, anche la mia fidanzata, fu l’unica che riuscì a reagire e riferire l’episodio alla mamma. Non ne parlammo più, neppure tra di noi, almeno fino a ieri quando parlando con lei è riemerso tutto, compresa la lucidità comune che avemmo in quel momento.

Riflessione: Restai diverso tempo con questa ragazza, avevo 20 anni circa quando ci lasciammo, non riuscivo ad affrontare la mia paura del sesso, scappai da tutti e imparai a mentire, soprattutto a me stesso, per anni. Chissà quanto ha influito quella notte su tutti i presenti, sul nostro orientamento sessuale, sulle nostre vite, sulla mia relazione con lei. Sulla mia vita ho tutto abbastanza chiaro, chissà cosa ricordano le altre vittime di quella notte, non ho il coraggio di andarlo a chiedere, forse dovrei prima che questa specie di bomba ad orologeria esploda nella loro testa, forse lo sto facendo con questo scritto che magari leggeranno su Facebook o chissà dove.

Dai ricordi di due fidanzati adolescenti, S. C. e Francesco Zanardi

«Dove si è nascosta la mia infanzia?»

Il racconto di un sopravvissuto alle violenze di un parroco romano, subite quando aveva 8 anni. Il trauma è affiorato dai ricordi solo dopo decenni, quando ormai era tardi per poter denunciare penalmente il suo stupratore

Buongiorno. Sono nato a Roma nel 1963, oggi ho 58 anni. Gli episodi che vi racconto riportano alla mia infanzia e adolescenza. Infanzia difficile, perché mio padre non mi amava e me lo faceva sapere, non perdendo una occasione per svilirmi, soffrivo quindi di una orribile mancanza di affetto.

Mia madre, molto materna e affettuosa ma distratta, fece in modo ch’io frequentassi la parrocchia e, brevemente, anche il gruppo dei lupetti, per allontanarmi dalla strada e dai pericoli, perché ci si fidava del clero e dei loro ministri. I ricordi della mia infanzia sono sempre stati un mistero, come se cercassi di leggerli tra le pagine chiuse di un libro intonso, e non mi sono mai troppo soffermato su queste pagine segrete, perché ho cercato sempre di andare avanti, per dovere e amor proprio, anche se mi sono sempre domandato il perché di tanti eccessi durante l’adolescenza….

I miei ricordi sono netti solo a partire dai 13 anni, quando cominciai a frequentare i ragazzini più disperati del quartiere e a farmi le canne, in terza media. Passai poi alle pere, agli acidi e alle anfetamine in primo liceo, e a quindici anni ero eroinomane…

Ho smesso di studiare a quindici anni anche se ho continuato a far finta di frequentare il liceo fino ai diciotto, facendomi ovviamente bocciare a ripetizione. E mi sono drogato per quasi dieci anni, fra alti e bassi, perché riuscivo sempre a fermarmi sul bordo del precipizio grazie al mio naturale mimetismo sociale e a un mestiere che mi permettevano di resistere.

A 24 anni, come se sbucassi dal nulla e bruciando tutte le tappe, mi reintegrai rapidamente nella società, fresco come un adolescente diventato di colpo uomo, con tanta voglia di fare, tanta voglia di ridere e di dimenticare. Mi sentivo inspiegabilmente puro, pulito, come un angelo che ha volato in inferno senza bruciarsi le ali (anche se ci ho rimesso qualche pelo di culo).

E poi vent’anni fa mi sono trasferito a Parigi, perché mi sono innamorato di quella che è divenuta poi mia moglie. Non mi posso lamentare di ciò che ho costruito: faccio un lavoro artistico, sono diventato colto, anche senza diplomi e ho due meravigliosi figli. Ma in fondo ho sempre vissuto come un cane randagio: la mia vita è un immenso “bricolage” e la mia coscienza è una come una zattera di fortuna.

Sono un naufrago, un sopravvissuto, perché di tutto il mio gruppetto di amici “grandi” (io ero sempre la “mascotte”) sono l’unico che si è salvato…

Cinque anni fa mi sono separato da mia moglie, cordialmente, ci amiamo e ci stimiamo ancora come se fossimo i migliori amici del mondo. Ciò non toglie che ritrovarmi di colpo davanti ai “misteri” mi ha fatto sprofondare in crisi.

Perché definirmi bisessuale non è mai stato sufficiente a capire la natura dei miei desideri… E perché tanta vergogna? Perché tanti sensi di colpa? E perché l’infanzia dimenticata? Perché a nove anni, improvvisamente, pisciavo nel mio letto? Pensavo di essermi drogato per debolezza, come un cacasotto, anche se la mia vita mi dimostrava il contrario. Pensavo anche di essere bisessuale per scelta, ma non lo sono, sono solo confuso, solo vittima di una confusione che viene da un lontano passato.

Ma quale passato? Dove si nasconde il passato?

Ho allora finalmente cominciato una psicoterapia, cosa che avevo sempre evitato, inconsciamente. Ed è così che ho ritrovato una parte dei miei ricordi, dolorosi, nascosti nel profondo ma che tuttavia affioravano nella memoria… Si perché ho sempre ricordato certe attenzioni di don Angelo, che tra l’altro hanno sempre nutrito in me un profondo anticlericalismo che mi ha portato fino a sbattezzarmi una decina di anni fa. Ma avevo completamente censurato gli aspetti più scabrosi di quello che è violentemente riaffiorato e che mi ha profondamente sconvolto: a 8 anni don Angelo mi ha violentato, in chiesa, e non una sola volta.

La memoria mi ha restituito solo tre penosi spezzoni, tre brevi e orribili flash di qualche secondo, tutti all’interno della chiesa o della sagrestia… Fu come se avessi preso una macchina del tempo per rientrare nel corpo dei miei 8 anni, facendomi violentare tra lo sbigottimento e il disgusto del bambino, incapace di pensare, di capire, incapace di muovermi e di fuggire.

Rividi don Angelo in un confessionale trafficare nelle mie mutande… lui era sempre sporco e puzzava…

E poi mi vennero in mente anche altri ricordi, mai dimenticati ma “accantonati” nel dimenticatoio, come quando mi chiudevo in bagno piangendo per lavare dal mio viso il puzzo della sua bava, di nascosto, perché mi vergognavo e non capivo, non capivo nulla…

Quanta vergogna sulle spalle, quanto disgusto. Ancora ci piango sopra, e mi sentii improvvisamente come il bambino, vigliacco, impotente, debole. Ma come non esserlo a quell’età? Come razionalizzare una violenza così paradossale? Un bambino non può comprendere i paradossi! Ed è allora che scatta la censura, l’oblio, quella che ti permette di sopravvivere a un trauma senza peraltro evitarne le conseguenze, anch’esse paradossali, come lo è la violenza che mi è stata inflitta da quel porco..

Ma come affrontare da adulto la coscienza ritrovata?

Pur trovando finalmente una coerenza nel mio passato sregolato, mi sono sentito e mi sento ancora profondamente spersonalizzato. Come se il mio destino non fosse mai stato nelle mie mani ma tra quelle di un porco in sottana…

Ora sto bene, e riesco a non vergognarmi più…

Ho camminato per decenni come un mutilato che si ignora, con una protesi di fortuna, oggi frantumata dal riemergere dei ricordi. Ora ne sto costruendo un’altra, più bella e in tutta coscienza. Ma non mi faccio illusioni, perché anche se riuscirò a correrci, resterò così come sono: un mutilato. Non siamo come le lucertole alle quali ricresce la coda, ci si abitua solo a guardarsi senza.

E vi scrivo questo solo ad memoriam, ormai è troppo tardi per fare altro, sono passati oltre 40 anni, ma ho comunque bisogno di giustizia. Quella umana non divina…

In piena crisi scrissi una mail molto “pia” all’attuale parroco, per raccontargli dell’accaduto, non ho avuto alcuna risposta. Preso dalla rabbia ho allora scritto ai giovani capi scout, ed anche lì nessuna risposta. Allora sono arrivato a scrivere all’associazione parrocchiana dei genitori e a un cardinale. Mai nessuno mi ha mai risposto.

Grazie all’assistenza legale di Rete l’Abuso, ho inviato alla parrocchia una messa in mora in civile. I suoi avvocati mi hanno prontamente risposto via raccomandata, declinando ogni responsabilità e ricordandomi che monsignor violentatore è deceduto. Assortendo il tutto con articoli di legge (italiana e non canonica) e concludendo con una “paterna benedizione”. È questa quella che loro chiamano “carità cristiana”. E mi fanno veramente vomitare, ma non mi lasciano senza parole, il silenzio uccide.

Lettera firmata (l’autore ha chiesto di poter mantenere l’anonimato)

Secreta continere: mantenere il segreto

La corda la trova in oratorio e con quella si toglie la vita. È il 21 giugno 2011 quando Eva Vittoria Sacconago muore nella sua casa di Busto Arsizio, in provincia di Varese. La parola d’ordine in questa storia è ancora una volta Secreta continere («mantenere il segreto»), dal titolo del documento approvato da papa Paolo VI nel 1974. Eva ha poco meno di ventisette anni. La sua morte è il tragico epilogo di una storia di abusi sessuali che ha avuto origine tredici anni prima, nell’oratorio di Sant’Edoardo. La ragazza lo frequentava fin dall’epoca delle scuole elementari, divenendo animatrice e poi, dopo essersi iscritta a ragioneria, catechista e organizzatrice di eventi. Tra le educatrici c’è Mariangela Farè, una suora appartenente alla Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Fin dal suo arrivo al Sant’Edoardo, nel 1998, suor Farè porta con sé una ventata di freschezza: suona la chitarra, sta con disinvoltura in mezzo ai ragazzi, ispira fiducia. In molti sono catturati dalla sua personalità, ed Eva non è da meno. Facendo leva sul naturale conflitto che ogni adolescente ha con la madre, la Farè – che ha ventitré anni più della ragazza – ha gioco facile a entrare nella sua vita. Eva annota su un diario gli eventi delle giornate trascorse in oratorio e conserva, incollati sulle pagine, alcuni bigliettini che la suora le ha consegnato. I primi sono firmati «suor Mary», da un certo momento in poi la firma diventa «mamma Mary». Come a volersi sostituire alla figura di riferimento, in un «rapporto» ai limiti dell’incestuoso, la suora le scrive lettere che mettono in cattiva luce la mamma, la quale viene soprannominata, con chiaro intento dispregiativo, «Jo Culo».

Queste sono le prime righe del libro-inchiesta “Giustizia divina” pubblicato nel 2018 per Chiarelettere da Emanuela Provera e Federico Tulli. La lunga indagine dei due giornalisti sui reati compiuti da sacerdoti e suore in Italia si apre con la storia di Eva Sacconago, all’epoca quattordicenne, e della suora che le ha rubato l’adolescenza. Nei giorni in cui usciva il libro sia apriva il processo di appello contro la religiosa che si è poi concluso con la conferma della condanna a 3 anni per violenza sessuale. Secondo i magistrati gli abusi subiti da Eva sono andati avanti per almeno 10 anni. Lo scorso settembre Mariangela Farè ha scontato la sua pena. I genitori della sua vittima lo hanno scoperto solo alcuni mesi dopo. Ecco come si conclude la loro lettera aperta del 29 marzo 2022, pubblicata sul sito dell’associazione Rete L’Abuso: «Tuttora sappiamo che è libera ma dove e cosa possa fare ancora non c’è dato di saperlo, siamo preoccupati per quello e per quanto possa fare ancora ad altre persone piccole come Eva».

Subito una commissione d'inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa e apertura degli archivi segreti delle diocesi: la lettera del Coordinamento ItalyChurchToo alla Conferenza episcopale

«Chiediamo la piena collaborazione della Chiesa italiana a una indagine indipendente, condotta da professionisti credibili e super partes», che faccia luce sulle violenze di matrice pedofila compiute «dal clero in Italia» che veda uniti gli sforzi di diverse e altissime professionalità e che utilizzi contemporaneamente metodi qualitativi, quantitativi e documentali; in questa prospettiva, rigettiamo anticipatamente qualsiasi ipotesi di lavoro condotto con strumenti e risorse interne alla Chiesa stessa, che non avrebbe le caratteristiche di terzietà necessarie e risulterebbe non credibile, carente e in ultima analisi inutile, se non dannosa».

È questa la prima delle richieste avanzate dal “Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica – ItalyChurchToo” tramite una lettera recapitata alla Conferenza episcopale italiana – e per conoscenza al segretario di Stato vaticano, card. Parolin – che dal 23 maggio è riunita in assemblea in vista, tra l’altro, della nomina del nuovo presidente (l’unico al mondo scelto direttamente dal papa), successore del card. Bassetti. Le strategie di lotta contro la pedofilia all’interno della Chiesa italiana saranno oggetto di discussione al sinodo della Cei di questi giorni e il Coordinamento “ItalyChurchToo” espressione delle vittime di abusi, del laicato cattolico, di istanze del dialogo interreligioso, della cittadinanza e di alcuni media sensibili (oltre, naturalmente a Left, c’è Adista), chiede ai vescovi italiani di inoltrarsi una volta per tutte sul percorso della verità e della giustizia per le vittime di violenze, abusi e soprusi – minori, adulti, adulte, persone vulnerabili, religiose – perpetrati da persone a vario titolo impegnate nella Chiesa.

L’Italia è rimasto l’unico grande Paese a tradizione cattolica nel quale a livello istituzionale – laico e religioso – non si è nemmeno mai parlato della possibilità di realizzare un’indagine su scala nazionale per far luce sull’entità del fenomeno criminale della pedofilia di matrice clericale. L’inchiesta non solo restituirebbe giustizia e verità a migliaia di vittime fino a oggi ignorate e inascoltate, ma darebbe fondamentali informazioni alle istituzioni preposte nell’ottica della prevenzione. Chi è il pedofilo? Cos’è la pedofilia? Cosa contraddistingue quella di matrice ecclesiastica? Quali sono le conseguenze per una vittima? Quanti sono i preti pedofili in Italia? Quante sono le loro vittime? Cosa fare quando si viene a conoscenza di una violenza subita da un bambino? A chi rivolgersi e a chi non rivolgersi per denunciare? Sono tutte domande che troverebbero risposta grazie a un’inchiesta seria.

Alla necessità di realizzare un’indagine indipendente il nostro settimanale ha dedicato negli anni decine e decine di pagine, conducendo questa battaglia di civiltà a fianco delle vittime e dei sopravvissuti. E’ nata così l’idea di realizzare in collaborazione con Rete L’Abuso (onlus che fa parte del Coordinamento ItalyChurchToo) un Database che non si “limita a documentare i casi di violenza su minori nella Chiesa cattolica italiana (ad oggi ne abbiamo accertati 90 – con 269 vittime – in 20 anni).

Si tratta della prima indagine permanente realizzata da un giornale in Italia per far luce su questo orrendo fenomeno criminale in tutti i suoi aspetti per fornire all’opinione pubblica un quadro d’insieme della situazione italiana e fare pressione sulla politica e le istituzioni affinché pongano in essere tutte le misure necessarie per prevenire ulteriori violenze – la pedofilia è notoriamente un crimine seriale – e per garantire tutta la necessaria assistenza psicologica alle vittime.

L’archivio è quindi corredato oltre che di un numeratore dei casi accertati e delle vittime, anche da inchieste, interviste, analisi e riflessioni con il contributo di esperti di varie discipline per spiegare con linguaggio chiaro e divulgativo cosa è la pedofilia, in particolare quella di matrice ecclesiastica, chi è il pedofilo, quali sono le conseguenze per la vittima, cosa fare nel caso in cui si venga a conoscenza di una presunta violenza subita da un bambino, a chi rivolgersi e a chi NON rivolgersi per denunciare.

Un altro punto chiave della lotta contro la pedofilia è la trasparenza. «Chiediamo che siano aperti e resi disponibili gli archivi di diocesi, conventi, monasteri, parrocchie, centri pastorali, istituzioni scolastiche ed educative cattoliche» è scritto al secondo punto della lettera di ItalyChurchToo che implicitamente fa riferimento ai luoghi dove notoriamente vengono custodite le informazioni “personali” sui presunti responsabili di violenze, mai consegnate alle istituzioni laiche. Il Coordinamento chiede inoltre, appunto, «che siano posti in essere canali di fattiva collaborazione con le istituzioni dello Stato italiano perché i colpevoli di crimini contro i minori vengano perseguiti». «Non siamo disposti – scrivono i componenti di ItalyChurchToo – ad accogliere sinergie con istituzioni statali che non contemplino una seria indagine sul passato, un coinvolgimento diretto delle vittime e una riparazione proporzionata al danno arrecato. È necessario che le responsabilità personali dirette, così come omissioni e indebite coperture, causa di rivittimizzazione delle vittime, siano accertate e rese note, a tutti i livelli, ai fini di una corretta presa in carico delle conseguenze delle proprie azioni, alle quali tutte e tutti siamo chiamati».

Infine il riferimento ai centri diocesani di ascolto, presentati dalla Conferenza episcopale italiana come luoghi di attenzione alle vittime e di sensibilità alle loro necessità quando in realtà, come è stato ricostruito da Left, sono stati istituiti nelle diocesi per intercettare le vittime prima che vadano a denunciare alle autorità laiche quanto subito da un sacerdote: «Chiediamo che si affronti il nodo critico della mancanza di terzietà dei centri diocesani di ascolto esistenti, elaborando una proposta alternativa che offra figure professionali neutrali e competenti, per rendere meno psicologicamente gravosa e più agevole e rigorosa la raccolta di storie e testimonianze». Come è noto ai nostri lettori questi centri sono dei veri e propri sportelli aperti in un centinaio di diocesi presso i quali chi ha subito una violenza da un sacerdote può recarsi per raccontare la propria storia e chiedere “giustizia” (…ai superiori del presunto violentatore…). Per farsi un’idea, nella sola diocesi di Bolzano nell’ultimo decennio sono arrivate un centinaio di segnalazioni di casi di pedofilia e non risulta che una sola di essi sia poi stata inoltrata alla magistratura italiana affinché indagasse concretamente.

La lettera del Coordinamento ItalyChurchToo alla Conferenza episcopale italiana si conclude con la sollecitazione ad affrontare un altro punto cardine della lotta contro il crimine violentissimo della pedofilia: la prevenzione. Questa, scrive il Coordinamento deve certamente partire dalla «formazione al ministero ordinato» nei seminari, con particolare attenzione all’educazione psico-affettiva dei seminaristi e dei/delle candidati/e alla vita religiosa e al ripensamento delle dinamiche della cura pastorale. Ma quel che è altrettanto importante è l’estensione «anche al clero e al volontariato attivo nella Chiesa l’obbligatorietà del certificato antipedofilia, previsto dalla Convenzione di Lanzarote, adottata dal Consiglio d’Europa e ratificata dal Governo italiano, al fine di restituire maggiore trasparenza alle istituzioni ecclesiastiche». Queste richieste – conclude il Coordinamento ItalyChurchToo – sono intese ad allineare l’operato della Chiesa italiana a quello di altre Conferenze episcopali e singole diocesi, e a spazzare via ogni dubbio relativo alle reticenze che l’episcopato italiano potrebbe avere riguardo all’emersione della reale portata» del fenomeno criminale della pedofilia di matrice ecclesiastica in Italia.

*

I primi firmatari della lettera alla Conferenza episcopale italiana

Francesco Zanardi – Rete L’Abuso – ECA
Mario Caligiuri – avvocato – Rete L’Abuso
Cristina Balestrini – Sezione Vittime e Famiglie Rete L’Abuso
Beppe Pavan – Comunità cristiane di base
Paola Lazzarini – Donne per la Chiesa
Giovanna Bianchi – Donne per la Chiesa
Agnès Théry – Donne per la Chiesa
Michelangelo Ventura – Noi siamo Chiesa
Vittorio Bellavite – Noi siamo Chiesa
Angelo Cifatte – Noi siamo Chiesa
Paola Cavallari – Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne – OIVD
Clelia Degli Esposti – OIVD
Marzia Benazzi – OIVD
Piera Baldelli – OIVD
Maria Teresa Milano – OIVD
Marco Campedelli – teologo e narratore – OIVD
Paolo Cugini – presbitero e teologo – OIVD
Doretta Baccarini – OIVD
Ludovica Eugenio – giornalista – Adista
Eletta Cucuzza – giornalista – Adista
Giampaolo Petrucci – giornalista – Adista
Ivana Santomo – Associazione Officina Adista
Federico Tulli – giornalista – Left
Federica Tourn – giornalista indipendente
Comité de la Jupe
Chantal Götz – Voices of Faith
Lorita Tinelli – presidente Centro Studi Abusi Psicologici (CeSAP)
Luigi Corvaglia – CeSAP – direttivo FECRIS
I membri dell’Organizzazione internazionale Ex Focolari – OREF
Carlo Bolpin – presidente Associazione Esodo
Giuseppe Deiana – Associazione Puecher
Emanuela Provera – numeraria Opus Dei dal 1986 al 2000
Renata Patti – membro interno del Movimento dei Focolari dal 1967 al 2008
Giuseppe Lenzi
Piero Cappelli – giornalista e scrittore
Francesco Antonioli – giornalista
Federica Roselli – avvocato
Maria Armida Nicolaci – biblista
Mauro Concilio – educatore
Laura Verrani – teologa
Ugo Gianni Rosenberg – baccalaureando in Teologia
Roberto Fiorini – responsabile rivista PretiOperai
Antonietta Potente – religiosa domenicana e teologa
Mauro Castagnaro – giornalista
Francesco Peloso – giornalista vaticanista
Giorgio Saglietti – Tempi di Fraternità
Franco Barbero – biblista e teologo
Giulia Lo Porto – biblista

Colpevoli di essere bambini

Ci sono oltre duemila anni di annullamento della realtà umana del bambino dietro la cultura che ancora oggi “giustifica” i crimini pedofili fino ad arrivare materialmente a proteggere, come nel caso della Chiesa, gli adulti violentatori. Ne parliamo con lo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini

 

Articolo di Federico Tulli

Quotidianamente, purtroppo, i media riportano uno stillicidio di casi di violenza sui minori: stupri, pedopornografia, tratta, sfruttamento, abusi di ogni genere. Tuttavia raramente la stampa si sofferma sulla ricerca delle cause, su cosa spinge un adulto a brutalizzare un bambino, sui tanti perché che sorgono spontanei di fronte a questo orrore. Un orrore che nel caso della pedofilia accade spesso in famiglia, come emerso nel recente agghiacciante caso della chat su Telegram in cui, stando a quel che si legge sui giornali, dei genitori si scambiavano immagini di violenze sui propri figli oltre che suggerimenti e dritte per non farsi scoprire dalle forze dell’ordine. Ma in Italia, come in tutti gli altri Paesi ancora a tradizione cattolica, la pedofilia e la pedopornografia sono profondamente radicate anche negli ambienti ecclesiastici. 

Sia nel caso della pedofilia in ambiente familiare che di quella di matrice clericale, come hanno dimostrato studiosi come Eva Cantarella, la storia non è di oggi o degli ultimi decenni ma attraversa senza soluzione di continuità i tanti secoli che ci separano dagli albori della civiltà occidentale. Viene da chiedersi, allora, qual è la considerazione che si ha del bambino alle nostre latitudini ma anche se c’è un modo per tutelarlo da violenze indicibili e traumi che, come vedremo, sono devastanti. Per provare a orientarci abbiamo rivolto queste e altre domande allo psichiatra e psicoterapeuta Andrea Masini, direttore della rivista scientifica Il sogno della farfalla e docente della scuola di psicoterapia dinamica Bios Psiché.

«Il bambino nella nostra cultura è sempre stato considerato poco e male – precisa immediatamente Masini -. Per cui è sempre stato “visto” come un uomo che deve ancora realizzarsi. Nessuno ha mai riconosciuto al bambino la piena realizzazione della sua realtà umana fin dalla nascita e quindi durante tutta l’infanzia».

Dagli studi della storica Cantarella, ma non solo, abbiamo scoperto che le radici “culturali” di questa scarsa “considerazione” della realtà del bimbo affondano nel periodo della Grecia classica. Cosa ne pensa? 

Nei confronti del mondo greco antico abbiamo certamente un grande debito di riconoscenza per averci fornito le basi del nostro sapere di uomini occidentali e razionali, ma non si può ignorare che dalla razionalità del pensiero di Platone, di Socrate e di Aristotele deriva, appunto, la pedofilia. A livello filosofico fu teorizzato che è molto più progredito l’amore per il fanciullo rispetto all’amore per la donna, considerata specie inferiore rispetto al maschio razionale. Così è nata la paideia, intesa come educazione del bambino, che comprendeva il rapporto “sessuale” con il maestro. Questa storia e queste dinamiche di sottomissione sono state poi riproposte e sempre negate per secoli fino ai giorni nostri. Basta vedere cosa è accaduto per esempio nella Chiesa francese o cosa accade oggi in Afghanistan ai bambini. Questo ci suggerisce che probabilmente nei secoli scorsi la pedofilia era una prassi totalmente annullata, non denunciata, come se non esistesse. E ci suggerisce anche che oggi stiamo facendo un salto in avanti poiché certi orrori inizino a essere scoperchiati.

Lo psichiatra Massimo Fagioli ha definito la pedofilia «l’annullamento della realtà umana del bambino». 

Il lavoro che ha fatto Fagioli sull’immagine del bambino, ma anche della donna, è un rovesciamento culturale gigantesco. Oggi dobbiamo continuare a proporre cos’è questo annullamento, cioè il non riconoscere, non vedere la realtà umana del bambino, per far sì che venga in primis riconosciuto l’obbrobrio della storia del mondo greco. In Occidente non abbiamo mai voluto fare i conti con questo bagaglio culturale. Ed è accaduto che l’annullamento dell’identità del bambino perpetrato dalla filosofia platonica sia arrivato ai giorni nostri dopo essere stato ripreso a inizio Novecento da Freud con i suoi lavori sulla “sessualità” infantile.

Ci dica di più.

Utilizzando una serie di luoghi comuni della sua epoca, Freud formulò una vera e propria teoria della sessualità infantile che è arrivata ai giorni nostri così come lui l’ha proposta. Come fosse una scoperta, come fosse una cosa scientifica. Mentre non ci si rende conto che livello di annullamento sia parlare di sessualità infantile. I bambini non hanno sessualità. Non la devono e non la possono avere. Perché non hanno le competenze fisiche oltre che mentali, che si svilupperanno alla pubertà. È qui che comincia la sessualità. 

Uno stupro, una violenza, può essere definito “atto sessuale”?

Assolutamente no. Anche qui dovremmo riuscire a chiarire i termini che – ripeto – ha chiarito solo Fagioli. Non si può mettere insieme violenza e sessualità. La parola sessualità implica l’assenza di qualunque violenza. La parola violenza esclude la possibilità che ci possa essere qualche dinamica di tipo sessuale. Ma nel nostro pensiero comune le due parole vengono associate. “Violenza sessuale”. Sono due termini totalmente inconciliabili. La violenza è violenza. Per anni è sembrato che l’aggiunta della parola “sessualità” volesse in parte mistificarla. Ci sono state sentenze in cui la donna vittima è stata considerata complice della violenza subita perché avrebbe indotto l’uomo a comportamenti violenti tramite la sessualità. Ma questo è un pasticcio teorico inaccettabile. Se c’è violenza non c’è sessualità. Se c’è sessualità non ci può essere violenza.

“È il bimbo che mi ha provocato”. Tante volte, non solo attraverso le nostre inchiesta su Left, è emerso che dichiarazioni del genere sono state fatte da sacerdoti pedofili. La donna e il bambino descritti dall’uomo come istigatori. Come possiamo commentare?

La donna e il bambino violentati, ritenuti responsabili della violenza contro se stessi: è un pensiero orrendo. E nei confronti del bimbo lo è ancor di più perché – come detto – nel bambino non c’è sessualità. Quindi non ci può mai essere alcuna istigazione. Invece questa idea è presente anche nella cultura del Novecento francese, nell’esistenzialismo. Foucault e altri hanno proposto dinamiche di questo tipo. Ma sono inaccettabili dal punto di vista teorico, psichiatrico e anche culturale.

Una persona che ha subito uno stupro in età prepubere, cosa si trova a dover affrontare?

Ogni vittima ovviamente nel corso della vita farà appello a tutte le proprie risorse psicologiche per superare il trauma. Ma noi psichiatri valutiamo che le conseguenze sono devastanti. Perché c’è un’impossibilità per il bambino di gestire, di reggere questo tipo di violenza che non è solo fisica. Peraltro quando un bambino è vittima di un’aggressione fisica diretta questa viene compresa ed elaborata più facilmente – anche perché c’è l’appoggio e la difesa del mondo circostante (genitori, familiari etc). L’aggressione di un pedofilo, invece, come dicevamo, è sempre stata sottovalutata dalla società. Quindi da una parte il bimbo rischia di confondersi e dall’altra spesso manca il sostegno stesso delle persone che gli stanno vicino. Più volte mi è capitato di sentirmi raccontare con grande sofferenza la violenza subita da uno zio o da un parroco tanti anni prima. Dietro l’atto c’è una violenza psicologica che provoca danni profondissimi. Che non sono solo quelli di bloccare la sessualità.

Come si può intervenire?

Si può intervenire solo a livello psichiatrico e psicoterapico. Pensiamo solo alla confusione che una violenza determina sulla formazione dell’identità. «Chi sono io? Sono attratto da un adulto del mio sesso o del sesso opposto?» si “chiede” la vittima.

Uno studio realizzato dalla Commissione australiana d’inchiesta sugli abusi nazionali di matrice clericale, conferma quello che dice lei. Da un campione di 4.445 persone è emerso che sono passati in media 33 anni prima che le vittime riuscissero a parlare della violenza subita.

Perché così tanto tempo?

È il tempo che occorre a una persona per acquisire – nonostante il trauma – una propria solidità. Quella necessaria per poter riaffrontare il racconto e le reazioni della gente di fronte alla sua denuncia. Questo, ma in maniera più grave, è molto simile alla violenza “sessuale” che subiscono le donne. C’è tutto quel connubio di vergogna, di paura, sensi di colpa che rendono molto complicato riuscire a denunciare, a raccontare, a condividere con qualcuno.

Anche con i genitori?

Purtroppo sì. I bambini molto spesso non vengono creduti, se non addirittura colpevolizzati. Oggi si comincia per la prima volta a sentire di rari ed eccezionali casi in cui la madre si scontra con il padre, accetta la volontà del figlio e si va a scontrare con il parroco presunto violentatore. I casi che vengono denunciati hanno quasi sempre questa dinamica ma non sono certo la maggioranza. Purtroppo si tratta di un’esigua minoranza di persone che hanno una certa sensibilità. La maggioranza tende a colpevolizzare il bambino, a nasconderlo, a non vedere la realtà, a negarla.

Chi è il pedofilo?

Il pedofilo ha una patologia psichiatrica gravissima che però può essere “compresa” in senso scientifico come un disturbo di personalità, tipo psicopatia. I pedofili sono degli psicopatici, sono dei malati che mettono insieme una grave malattia e una lucidità di comportamento propria dei criminali. E con lucidità scelgono le vittime, consapevoli del reato che compiono e dei rischi che possono correre. Nell’Ottocento li chiamavano “criminali nati” ma oggi sappiamo che psicopatici si diventa, non ci si nasce. A volte, nel caso dei pedofili, sono delle persone abusate a loro volta da bambini. In loro c’è una catena di malattia, di dolore e di delinquenza molto marcate. Trent’anni fa ci fu il caso piuttosto noto di Luigi Chiatti. Lui da bambino era stato abusato e adottato, e uccise due bambini. Prima però tentò di violentarli ma anche di convincerli a una relazione. Un misto di psicosi, delirio e lucida delinquenza. È stato un caso molto paradigmatico, molto studiato. Aveva il delirio di voler costruire una comunità di bambini prendendoli alle loro famiglie e portandoli a vivere tutti insieme. Una cosa che non sta né in cielo né in terra ovviamente.

Leggendo i Rapporti investigativi sulla pedofilia nel clero, viene da dire che spesso ai sacerdoti pedofili la comunità di bambini da gestire è stata messa su un piatto d’argento…

Anche loro hanno deliri di questo genere: ricostruire delle comunità in cui stanno con i bambini. È chiaro inoltre che i numeri impressionanti emersi in Francia di recente – ma era già accaduto in Germania, Usa e altrove – dimostrano che ci deve essere un legame tra la diffusione della pedofilia nel clero e la cultura della Chiesa, la sua organizzazione, la formazione impartita ai sacerdoti. Ci dev’essere un nesso altrimenti non si spiegano questi numeri mostruosi. 

Le gerarchie ecclesiastiche hanno sempre detto che si tratta di casi isolati. Aiutati in questo, specie in Italia, dal modo in cui i media trattano queste vicende, spesso relegate nelle pagine di cronaca locale e mai contestualizzate fino in fondo.

Ma no! Si tratta di una prassi criminale diffusa che evidentemente si lega in qualche modo alla cultura cattolica e all’organizzazione della Chiesa cattolica.

Difatti, solo per fare un esempio numerico, il recente rapporto francese parla di circa 3mila preti coinvolti e 210mila vittime: cioè per ogni pedofilo, settanta bambini violentati.

Per me questo è l’aspetto criminale della malattia mentale. La serialità sottolinea drammaticamente l’aspetto criminale. Non riescono a fermarsi. O li ferma la magistratura o non riescono a fermarsi. In questo misto di criminalità e di patologia. Loro hanno perduto l’infanzia. In questo modo criminale vorrebbero ricostruire un rapporto con l’infanzia che hanno perduto. È una dinamica violentissima. Così come lo stupratore delle donne vorrebbe creare un rapporto con le donne ma lo fa in un modo violentissimo e criminale.

A proposito di “cultura” religiosa, ancora oggi lo stupro subito da un bambino, per la Chiesa, dal papa in giù, è considerato ed è trattato innanzitutto come un peccato.

Qui c’è tutta la cecità del pensiero religioso nei confronti del bambino. Difficile stabilire quanto questa idea di “peccato” venga utilizzata appositamente da parte della Chiesa per mistificare e nascondere il gigantesco problema al suo interno. È possibile che i vertici siano consapevoli che la pedofilia rischi di travolgere definitivamente l’istituzione, intaccando irrimediabilmente la fiducia della gente. Quindi la confusione tra “peccato”, cioè delitto contro la morale, e crimine contro una persona inerme può essere frutto di una strategia lucida e fredda per tutelarsi. Ma dall’altra parte testimonia l’incapacità del pensiero religioso di vedere il bambino, che come la donna non esiste. La religione, quella monoteista in particolare, vede solo il maschio adulto. E questo ha delle ricadute importanti, appunto, anche sulla formazione dei preti che vengono addestrati a muoversi in mondo totalmente maschile, dove esistono solo uomini. È una mostruosità, è contro la natura umana. 

Ritorniamo, in conclusione, a parlare delle vittime di una violenza subita da bambini. Spesso vengono loro diagnosticate una sindrome acuta post traumatica da stress e amnesia traumatica. Ce ne può parlare?

La psichiatria deve fare ancora tanta strada per capire la patologia mentale in generale ma queste in particolare. Però entrambe le definizioni possono essere utilizzate per aiutare a comprendere. La sindrome post traumatica da stress suona come una cosa lieve ma è una diagnosi che può essere utilizzata per le vittime dei campi di concentramento che, come ha raccontato Primo Levi, portano dei segni profondissimi per tutta la vita. 

Lo stress quindi può essere più o meno grave? 

Certamente. Per farsi un’idea queste sono diagnosi che si usano per le persone vittime di terremoti, guerre ed emigrazione forzata. E questo può aiutarci a capire cosa vive la vittima di uno stupro pedofilo. Aggiungerei che il dramma e lo stress della persona che ha dovuto affrontare un lager o un terremoto vengono compresi dal mondo circostante. Mentre per quanto riguarda le vittime di un pedofilo c’è tutto quell’equivoco di cui si parlava all’inizio che rende maggiore la loro sofferenza. 

Cosa si intende invece per amnesia traumatica?

Si tratta di una dinamica che anche io ho riscontrato nelle vittime. “Comincio a ricordare di mio zio” mi sono sentito dire. Ma per anni lo avevano dimenticato. La nostra mente ha questo potentissimo meccanismo di difesa che consiste nel cercare di “dimenticare” ciò che ha fatto star male. E questo spiega anche perché prima che una persona riesca a ricordare, a prendere consapevolezza, a rimettere a fuoco quello che è successo ci vogliono anni. Accade anche in chi ha subito una guerra o vissuto un lager. Cercano di dimenticare. Ben diversa è la dinamica dell’annullamento nella quale c’è una completa sparizione del fatto ma soprattutto si realizza una dinamica di anaffettività che di solito non è quella implicata in un processo traumatico. Il punto sta proprio nel “dimenticare” – non c’è un’altra parola – quello che è stato il trauma. Poi, dove le condizioni lo consentono, a poco a poco riemerge. E siccome per anni è rimasto nell’inconscio, deve riemergere dall’incoscio.

Articolo pubblicato su Left del 10 dicembre 2021