Come si previene la pedofilia nella Chiesa? In che modo lo Stato italiano si impegna a contrastare questo fenomeno criminale? Quali sono le armi a disposizione per tutelare l’incolumità dei minori? In questa sezione pubblichiamo articoli, inchieste e approfondimenti per dare risposte a queste domande
Dopo il terremoto che ha scosso la Francia in ottobre, si è alzata la pressione nei confronti della Conferenza episcopale italiana che è rimasta l’unica, insieme a quella spagnola, a non voler avviare un’indagine interna sul fenomeno criminale della pedofilia. Eppure i numeri che faticosamente emergono sono agghiaccianti. A prescindere dalla reticenza della Cei, un’inchiesta sulla Chiesa, a livello nazionale, deve essere fatta al più presto dal Parlamento…
Cos’è una Commissione parlamentare d’inchiesta
Le Commissioni d’inchiesta sono regolate dall’articolo 82 della Costituzione italiana e possono essere create ad hoc per svolgere indagini e ricerche su materie e argomenti di interesse pubblico, con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. Lo fanno attraverso missioni e sopralluoghi, audizioni con ministri, l’approvazione di relazioni, l’organizzazione di convegni e più in generale un accurato lavoro di studio e documentazione. Possono essere bicamerali o monocamerali. Tra le 15 Commissioni attive c’è quella “sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere”.
Quali iniziative il Governo ha intenzione di mettere in atto al fine di prevenire e reprimere il fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa?
Interrogazione del deputato Matteo Mantero che non ha mai ricevuto risposta
Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’interno, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
il comitato sui diritti del fanciullo dell’Onu ha esaminato il secondo rapporto periodico della Santa Sede e ha adottato, nella sua 1875a seduta, tenutasi il 31 gennaio 2014, le osservazioni conclusive di cui al punto 43: Il Comitato prende nota dell’impegno espresso dalla delegazione della Santa Sede di ritenere inviolabile la dignità e l’intera persona di ogni fanciullo. Il Comitato cionondimeno esprime la sua più profonda preoccupazione circa l’abuso sessuale sul bambino commesso dai membri degli ordini cattolici che operano sotto l’autorità della Santa Sede, con chierici che sono stati coinvolti nell’abuso sessuale di decine di migliaia di bambini in tutto il mondo. Il Comitato è gravemente preoccupato per il fatto che la Santa Sede non ha riconosciuto l’entità dei crimini commessi, non ha preso le misure necessarie per affrontare i casi di abuso sessuale sul bambino e per proteggere i bambini, e ha adottato politiche e pratiche che hanno condotto alla continuazione dell’abuso da parte dei perpetratori e all’impunità degli stessi. Il Comitato è particolarmente preoccupato del fatto che:
«Ben noti autori di abusi sessuali su bambino sono stati trasferiti di parrocchia in parrocchia o in altri Paesi nel tentativo di tenere nascosti tali crimini, una pratica documentata da numerose commissioni nazionali d’inchiesta. La pratica della mobilità dei criminali, che ha permesso a molti preti di rimanere in contatto con i fanciulli e di continuare ad abusare di loro, tuttora pone i fanciulli di molti Paesi ad alto rischio di abuso sessuale, poiché dozzine di autori di abusi sessuali sul bambino sono segnalati essere tuttora in contatto con fanciulli; (…)
i casi di abuso sessuale su bambino, quando affrontati, sono stati trattati come gravi delitti contro la morale tramite procedimenti riservati previsti per misure disciplinari che hanno permesso a un’ampia maggioranza di autori di abuso e a quasi tutti quelli che hanno nascosto l’abuso sessuale sul bambino di sfuggire ai procedimenti giudiziari negli Stati dove gli abusi sono stati commessi;
a causa del codice del silenzio imposto a tutti i membri del clero sotto pena di scomunica, i casi di abuso sessuale su bambino non sono quasi mai stati denunciati alle autorità per l’applicazione della legge nei Paesi dove tali crimini sono stati commessi. Al contrario, casi di suore e preti ostracizzati, degradati e licenziati per non aver rispettato l’obbligo del silenzio sono stati denunciati al Comitato così come casi di preti che hanno ricevuto congratulazioni per essersi rifiutati di denunciare gli autori di abuso su bambino, come dimostrato nella lettera indirizzata dal Cardinale Castrillon Hojos al Vescovo Pierre Pican nel 2001;
denunciare alle autorità nazionali per l’applicazione della legge non è mai stato reso obbligatorio e ciò è stato esplicitamente rifiutato in una lettera ufficiale indirizzata ai membri della Conferenza episcopale Irlandese dal Vescovo Moreno e dal Nunzio Storero nel 1997. In molti casi, le autorità della Chiesa, incluso al più alto livello della Santa Sede hanno mostrato riluttanza e in alcuni casi, hanno rifiutato di cooperare con le autorità giudiziarie e le commissioni nazionali d’inchiesta.
Limitati sforzi sono stati fatti per mettere in grado i fanciulli iscritti nelle scuole e istituzioni cattoliche di proteggere se stessi dall’abuso sessuale» –:
quali iniziative il Governo abbia intenzione di mettere in atto al fine di prevenire e reprimere il fenomeno degli abusi sessuali;
se intenda assumere iniziative normative volte ad estendere l’obbligo di richiedere il cosiddetto certificato antipedofilia per tutte le categorie oggi esenti, che vengono a contatto con minori, anche per attività di volontariato o dove non è previsto un rapporto di lavoro subordinato;
se e di quali elementi statistici disponga il Governo circa i procedimenti, definiti e ancora pendenti, nelle procure della Repubblica per reati sessuali contro minori, che vedono indagati o imputati ministri di culto;
se e quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, nell’ambito dei rapporti bilaterali con la Santa Sede, al fine di valutare l’opportunità dell’istituzione di un fondo per i risarcimenti a favore delle vittime dei reati di molestie e abusi sessuali perpetrati da ministri di culto in Italia;
se e quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, nell’ambito dei rapporti bilaterali con la Santa Sede, per promuovere il rafforzamento dello scambio di informazioni ovvero per introdurre strumenti di cooperazione finalizzati alla prevenzione e repressione dei reati di molestie e abusi sessuali perpetrati da ministri di culto in Italia.
(4-18626)
Preti pedofili, il triste primato di don Piccinotti
La diffusione della pedofilia nel clero italiano è un fenomeno criminale relativamente recente? Stando alle nostre ricerche la risposta è NO

Il cappellano di Corzano don Francesco Piccinotti vanta un record di cui non andar fieri. Fu lui il protagonista del primo caso noto di pedofilia di matrice clericale dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. Era il 30 aprile 1864. In base all’accusa «del crimine di libidine contro natura», nei confronti di diverse persone, tra cui un bimbo di 7 anni, la Corte d’Assise di Milano lo condannò a sette anni di reclusione. Notizie come questa…
Viaggio nelle cliniche della Chiesa in cui si "nascondono" i preti pedofili

«Non è vero che la Chiesa nasconde i preti pedofili, si sa benissimo dove si trovano. Spesso sono i magistrati che ce li portano ma, sempre, il loro vescovo è al corrente del loro “domicilio”. Altrimenti dovrebbe denunciarne la scomparsa» ci ha raccontato un diacono psicoterapeuta che ha chiesto di rimanere anonimo, responsabile di due strutture di assistenza e cura per “preti in difficoltà” riconosciute dalla Conferenza episcopale italiana.
Brano tratto dall’introduzione del libro di Emanuela Provera e Federico Tulli, Giustizia divina (Chiarelettere, 2018)
Penitenza e correzione
Una casa qualunque, nella più scialba delle località di mare. Vi abitano da anni quattro sacerdoti anziani e una suora che apparentemente svolge la funzione di domestica, ma in realtà li controlla.
I preti vi risiedono per volere della Chiesa, sono in punizione: devono riconoscere ed espiare i loro «peccati» – che vanno dalla cleptomania alla pedofilia, fino al vizio del gioco e all’omosessualità – il più lontano possibile da occhi indiscreti.
Il tempo scorre lento in questo ambiente anonimo, i sacerdoti pregano a orari fissi, si scambiano qualche parola, guardano la tv: una vita normale, come se nulla fosse. Uno dei quattro sembra in stato catatonico, in realtà ascolta tutto ciò che viene detto tra quelle mura ingiallite.
Siamo in Cile e questo è il set del film Il club, diretto da Pablo Larraín e vincitore nel 2015 del Gran premio della giuria alla Berlinale. In Italia, dopo la proiezione alla Festa del cinema di Roma, la pellicola è passata in poche minuscole sale, giusto il tempo di un respiro.
Improvvisamente, nel film, la routine quotidiana è incrinata dall’arrivo di un quinto ospite, che si porta dietro una storia di abusi. Una delle sue vittime, ridotta a vagabondare e a delirare, lo ha seguito e si è accampata nei pressi della casa per tenerlo sotto controllo. Urlando da dietro una bassa palizzata, ricorda al suo aguzzino le violenze subite e lo fa nel linguaggio più volgare e con tutti i più crudi particolari, guardandolo negli occhi: il prete pedofilo, schiacciato dal senso di colpa, si toglie la vita.
A quel punto compare padre García, un aitante religioso di nuova generazione, deciso, risoluto, inflessibile, dall’eloquio ipnotico. Un gesuita. Ha il compito di chiudere quel luogo ed evitare lo scandalo, ma la tragedia che si è appena consumata sembra solo un pretesto. García di questi siti ne ha già dismessi parecchi perché la «Casa madre» li considera fuori dal suo controllo.
Questo è ciò che accade al cinema. Nella realtà, i siti di controllo, cura ed espiazione per sacerdoti problematici sono tenuti in grande considerazione dalla Chiesa cattolica, pur non essendo mai menzionati nei discorsi ufficiali delle sue gerarchie. È lo stesso diritto ecclesiastico a prevedere l’esistenza di «case destinate alla penitenza e alla correzione dei chierici anche extradiocesani» (can. 1337, §2). Ve ne sono ovunque nel mondo e, come abbiamo scoperto, anche in Italia, disseminate come piccole enclave vaticane lungo tutto lo Stivale, dal Trentino fino alla Sicilia.
Siamo andati a scovarle, a visitarle e a parlare con chi ci vive, le gestisce e coordina. Nessuno lo aveva mai fatto prima. Qualche volta ci hanno aperto le porte, molto più spesso non ci hanno nemmeno risposto.
Ne abbiamo censite diciotto, nel corso di un’inchiesta fatta di sopralluoghi, interviste, centinaia di mail e telefonate, e ancora incrociando e verificando dati e notizie estrapolati dagli annuari delle diocesi italiane, oltre che da articoli di giornale quasi sempre relegati in cronaca locale. Forse la mappa non è neppure completa, perché la discrezione che avvolge queste strutture spesso sfocia in segretezza, a causa dell’atavico timore del Vaticano verso lo scandalo pubblico.
Il motivo è semplice: in genere questi centri sono una via di mezzo tra una clinica psichiatrica per sacerdoti in profonda crisi e un luogo di reclusione, poiché è tra queste mura che i preti che hanno guai con la giustizia italiana spesso chiedono di scontare le misure cautelari e gli arresti domiciliari.
Ma c’è di più. Sono queste le strutture che la Chiesa utilizza per curare e tenere sotto controllo i sacerdoti riconosciuti colpevoli di abusi su minori dalla Congregazione per la dottrina della fede, e che la Santa sede non ha voluto segnalare all’Onu, e quelli che spontaneamente chiedono aiuto a «colleghi» specialisti dopo aver scoperto di essere «attratti» dai bambini.
Si tratterebbe in pratica di luoghi di reclusione – ma senza sbarre e carcerieri – paralleli a quelli dello Stato, dove sono trattenuti i presunti responsabili di reati compiuti in territorio italiano ma che non vengono denunciati alla giustizia civile dai loro superiori. Perché secondo la legge vaticana costoro sono prima di tutto dei peccatori, e come tali devono essere puniti ed espiare secondo i canoni della giustizia divina.
Queste dimore costituiscono solo la punta di un gigantesco iceberg…
Brano tratto dal libro di Emanuela Provera e Federico Tulli, Giustizia divina (Chiarelettere, 2018) e parzialmente rielaborato
L’immagine è tratta dal film di Pablo Larrain, El club (2015)
Se cento preti pedofili vi sembran pochi

Un mese dopo essere stato annunciato dal nuovo capo della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale e arcivescovo Zuppi, il 23 giugno è stato avviato il primo Report della Chiesa italiana sulla pedofilia basandosi sulle attività dei Servizi regionali, dei Servizi diocesani/interdiocesani e dei Centri di ascolto per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Cosa siano i Centri d’ascolto lo abbiamo raccontato su Left del 18 febbraio 2022. Qui per brevità ricordiamo che sono stati istituiti dalla Cei nelle diocesi italiane per raccogliere informazioni e segnalazioni dalle vittime di preti pedofili e dare loro sostegno psicologico e giuridico. Il Report rientra in una delle 5 linee di azione varate a maggio dall’assemblea generale dei vescovi e volte – a detta loro – a una “più efficace prevenzione” del fenomeno criminale.
Nella ricerca saranno coinvolti 16 coordinatori per i Servizi regionali, 226 referenti per quelli diocesani e 96 responsabili dei Centri di ascolto. L’esame dei dati raccolti spetterà a ricercatori dell’Università Cattolica del sacro cuore di Piacenza, specializzati in economia, statistica, sociologia con esperienza specifica in analisi di policy children safeguarding. Il risultato dell’indagine sarà reso noto in autunno e gli esperti avranno il compito «non solo di presentare una radiografia dell’esistente, ma di trarre suggerimenti e indicazioni per implementare l’adeguatezza dell’azione preventiva e formativa delle Chiese che sono in Italia».
La scelta dell’Università Cattolica spiega la Cei, si è fondata sul suo coinvolgimento come soggetto valutatore del progetto “Safe – Educare e accogliere in ambienti sicuri” che ha interessato per due anni, dal 2019 al 2021, la Comunità papa Giovanni XXIII, il Centro sportivo italiano, l’Azione cattolica italiana e il Centro interdisciplinare di ricerca sulla vittimologia dell’Alma mater studiorum di Bologna. Potrebbe sembrare tutto coerente – la Cei che si avvale dell’Università cattolica per affrontare un problema radicato profondamente all’interno della Chiesa – se non fosse che Zuppi, presentando il progetto a maggio, aveva dichiarato che l’incarico sarebbe stato affidato «a due centri universitari indipendenti».
E che cosa ha di “indipendente” l’Università cattolica rispetto alla Chiesa? Nulla di nulla. Come scrive Ludovica Eugenio su Adista – che insieme a Left e ad altre importanti realtà associative fa parte del Coordinamento ItalyChurchToo (v. Left del 18 febbraio 2022) – per statuto, le università cattoliche sono regolate dal Codice di diritto canonico (art. 807- 814), dalla Costituzione apostolica Ex corde ecclesiae sulle università cattoliche e dalle Norme applicative delle Conferenze episcopali. Per capire ancora meglio ecco alcuni riferimenti giuridici. Art. 808 Cdc: «Nessuna università di studi, benché effettivamente cattolica, porti il titolo ossia il nome di università cattolica, se non per consenso della competente autorità ecclesiastica»; art. 4 Ex corde ecclesiae: le università cattoliche devono «servire a un tempo la dignità dell’uomo e la causa della Chiesa»; art. 14: «In una università cattolica, quindi, gli ideali, gli atteggiamenti e i principi cattolici permeano e informano le attività universitarie conformemente alla natura e all’autonomia proprie di tali attività».
Lo stretto legame dell’ateneo con la Chiesa è codificato anche nello Statuto, precisa Ludovica Eugenio. La Cattolica «secondo lo spirito dei suoi fondatori, fa proprio l’obiettivo di assicurare una presenza nel mondo universitario e culturale di persone impegnate ad affrontare e risolvere, alla luce del messaggio cristiano e dei principi morali, i problemi della società e della cultura».
Tutto chiaro, no? Sicuramente i ricercatori della Cattolica sono preparati e formati per svolgere il compito che è stato loro assegnato ma di certo appartengono a un’istituzione priva totalmente della terzietà necessaria per arrivare a una valutazione oggettiva e super partes del problema in questione. Un problema che è gigantesco e che dal febbraio scorso noi di Left – che indipendenti lo siamo per davvero – stiamo cercando di fotografare in ogni suo aspetto (statistico, sociale, psichiatrico, storico, giuridico, etc) attraverso l’indagine permanente pubblicata in questo Database.
E qui vi proponiamo un primo … “report” del lavoro di analisi dei dati in gran parte provenienti dall’unico Archivio esistente in Italia e che fa capo all’associazione di tutela delle vittime Rete L’Abuso. Ebbene, dopo un’accurata verifica delle fonti, su 126 posizioni esaminate (pari a poco meno di un quarto di quelle totali monitorate, circa 450) abbiamo individuato 100 casi di sacerdoti pedofili per un totale di 332 vittime in età prepuberale; 94 di questi crimini sono avvenuti tra il 2000 e i primi mesi del 2022, altri 6 tra il 1995 e il 1999 (e giudicati nei primi anni Duemila); 86 sacerdoti su 100 sono stati condannati in via definitiva, per 11 ecclesiastici sono in corso indagini o un processo “laico”, in 3 sono stati denunciati solo alle autorità ecclesiastiche; in 10 sentenze su 100 è stata emessa una condanna per pedopornografia, pertanto in questi casi il numero delle vittime è imprecisato; infine, i 100 sacerdoti coinvolti appartengono a 61 diocesi diverse, pari al 26,9% del totale.
E gli altri 26 casi? Per 5 di loro non è stato possibile completare le verifiche perché sono stati rimossi dagli archivi dei giornali tutti gli articoli sulla vicenda che li ha visti coinvolti. Gli altri 21 hanno compiuto reati che vanno dallo stalking alla violenza “sessuale” su minori non prepuberi o su persone maggiorenni (di cui una disabile), dal favoreggiamento della prostituzione alla resistenza a pubblico ufficiale, dallo spaccio di droga alla circonvenzione di incapace.
Questo nostro primo rapporto non comprende 111 casi indagati dal 2010 al 2021 dalle diocesi di Trento e di Bolzano (v. Left del 18 febbraio 2022). Quel che sappiamo è che nessuno è stato contestualmente segnalato dai vescovi alle autorità italiane.
In queste due diocesi come in tutte le altre con il “nuovo corso” inaugurato dal card. Zuppi, la Chiesa in Italia continua beatamente a lavare i panni sporchi in famiglia come se fosse il modo più efficace per prevenire e sradicare la pedofilia al suo interno. Di fronte a questa strategia – che resta un unicum a livello mondiale considerando che in altri Paesi sono state autorizzate dalle Chiese locali inchieste indipendenti che hanno portato innegabili risultati – noi di Left restiamo basiti di fronte all’inerzia totale dello Stato italiano. Oggi noi documentiamo 100 casi di pedofilia e il coinvolgimento di oltre un quarto delle diocesi a conferma dell’esistenza di un problema strutturale nella Chiesa italiana. Poi ci sono le segnalazioni ai vescovi di Trento e Bolzano.
Ma se in sole due diocesi in una decina di anni si contano 111 casi, quanti altri ce ne sono, sommersi, nelle altre 224? Quante vittime si devono contare affinché lo Stato inizi a muoversi? Affinché intervenga e non deleghi un’indagine delicatissima a chi è parte in causa? Noi riteniamo che sia compito delle istituzioni laiche indagare e ci sembra assurdo anche doverlo ribadire. Pertanto chiediamo nuovamente che intervenga il Parlamento italiano realizzando una Commissione d’inchiesta come quella sul femminicidio. Già perché questi due crimini, la violenza sulle donne e la violenza sui bambini, sono strettamente connessi avendo una matrice “culturale” comune fondata sull’alleanza tra mentalità patriarcale e pensiero religioso. È ora che in Italia se ne prenda atto.
— L’inchiesta di Federico Tulli è stata pubblicata su Left dell’1 luglio 2022
Trappole per bambini

Dopo l’inaugurazione di Spotlight Italia, le prime segnalazioni arrivate alla mail di Left riguardano presunte violenze avvenute in due seminari minori, uno al nord e uno al sud. Secondo la Convenzione Onu sui diritti dei minori dovrebbero esser chiusi ma nel nostro Paese ne esistono ancora 73
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«Nei seminari si accettino i peccatori, ma non i corrotti». Con questo monito papa Francesco si rivolse ai 120 superiori generali degli istituti religiosi del mondo in un lungo colloquio durato tre ore.
L’incontro si svolse a novembre del 2013 ed è stato reso pubblico nel gennaio del 2014 su La civiltà cattolica. «Se un giovane, che è stato invitato a uscire da un istituto religioso a causa di problemi di formazione e per motivi seri, viene poi accettato in un seminario, questo è un altro grosso problema. Non sto parlando di persone che si riconoscono peccatori: tutti siamo peccatori, ma non tutti siamo corrotti», ha spiegato Bergoglio. Con questo articolato giro di parole il papa intendeva riferirsi alla diffusione in tutto il mondo, a partire dai seminari di formazione al sacerdozio, di quello che lui definiva “peccato”, cioè un delitto contro la morale, ma che in realtà è un fenomeno criminale tra i più vigliacchi e violenti: la pedofilia nella Chiesa cattolica.
A 8 anni da quelle dichiarazioni la questione dei seminari è ancora aperta ma prima di approfondire è bene spiegare brevemente cosa siano questi luoghi. I seminari si distinguono in minori e maggiori. Quelli minori sono strutture in cui si avvia la formazione di candidati minorenni al sacerdozio, in genere dai 13 anni in su. Si distinguono dai seminari maggiori che, frequentati da giovani maggiorenni, sono dedicati al livello di studi universitario e consistono normalmente in almeno un quinquennio di studio e formazione.
I seminari possono essere diocesani, interdiocesani o regionali (quelli che formano i candidati del clero secolare) oppure religiosi (quelli che preparano i presbiteri delle congregazioni religiose), detti anche scuole apostoliche.
I seminari diocesiani, sia minori che maggiori, sono dal 2002 sotto stretta sorveglianza della Santa Sede, sull’onda degli scandali che colpirono la Chiesa statunitense a cominciare dalla Diocesi di Boston e dal cosiddetto e ben noto caso “Spotlight”. Il giro di vite del Vaticano seguì le conclusioni di tutte le più grandi inchieste indipendenti sulla diffusione della pedofilia nel clero dalle quali è emerso che è in questo contesto “chiuso” che si verificano molte delle violenze compiute da sacerdoti o seminaristi adulti nei confronti di minori.
L’Italia non fa eccezione. Basti citare il caso di don Bertagna, reo confesso di 37 “abusi” di cui circa la metà compiuti quando era seminarista; oppure quello di don Bruno Puleo che nel 2006 patteggiò 2 anni e 6 mesi per le violenze su un “suo” seminarista dodicenne. Gli “abusi” andarono avanti per 3 anni e durante il procedimento emersero i nomi di altre sei presunte vittime ma in assenza di denuncia queste vicende si chiusero in un nulla di fatto.
Detto questo, non ci sorprende che le prime segnalazioni arrivate alla nostra mail dedicata ([email protected]), dopo l’inaugurazione dell’archivio di Left sui casi di pedofilia nella Chiesa in Italia, riguardino presunte violenze avvenute in due seminari minori, uno al nord e uno al sud. La nostra indagine di verifica e accertamento dei fatti è già partita e nel caso si dovesse concludere con una conferma delle informazioni ricevute ovviamente ne daremo notizia su queste pagine.
Per farsi un’idea ancora più precisa del contesto di cui stiamo parlando prendiamo come riferimento alcune annotazioni riportate nel Rapporto della Commissione indipendente disposta dalla Conferenza episcopale americana per indagare sui crimini pedofili nella Chiesa Usa. «Molti testimoni affermano che ai seminaristi è negato un normale sviluppo psicologico. Infatti alcuni, ordinati sui 25 anni, hanno la maturità emozionale di un adolescente. La mancanza di uno sviluppo psico-sessuale “normale” può aver impedito ad alcuni di raggiungere uno stato “celibatario” sano, e si può spiegare come alcuni abbiano ricercato la compagnia di adolescenti. La Commissione è colpita dal gran numero di coloro che lo affermano e ritiene che questo fenomeno sia una causa dell’incidenza degli abusi sessuali. Diverse diocesi hanno chiuso i seminari minori. Vescovi e rettori devono garantire un ambiente in cui i ragazzi siano in grado di crescere non solo intellettualmente e spiritualmente, ma anche emozionalmente. Il candidato che non sembra adatto deve essere rifiutato e i risultati della valutazione devono essere condivisi tra le diocesi. Per molti anni, i seminari si sono focalizzati quasi esclusivamente sulla preparazione intellettuale a scapito di quella umana».
Era il 2004 ma queste parole si legano a filo doppio a quelle pronunciate nel 2013 da Bergoglio. E, come dicevamo, il problema è tuttora irrisolto anche da noi. Già perché sebbene sia la Santa Sede che l’Italia abbiano ratificato la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia del 1989 – aderendo quindi ai suoi articoli preliminari, laddove si vieta il “reclutamento” di minori fuori dall’ambiente familiare per consentire che si formino una personalità completa in ogni suo aspetto -, ancora oggi come documenta la Conferenza episcopale italiana (Cei) nel nostro Paese ci sono 73 seminari minori, vale a dire 50 in meno rispetto al 2007 ma ben 9 in più rispetto al 2010. In quell’anno il numero dei seminaristi minori, cioè di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, «stando a dati ufficiali» della Cei era pari a 2.984.
Nel mese di gennaio del 2019 il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia, incaricato di vigilare sul rispetto della Convenzione da parte dei Paesi aderenti, ammonì duramente il governo italiano per la negligenza nella gestione, nella prevenzione, nel controllo e nel giudizio dei casi di pedofilia clericale.
La questione dei seminari minori ancora esistenti nonostante il divieto entrò di riflesso nel mirino delle Nazioni Unite e nelle Conclusioni il Comitato si disse «preoccupato per i numerosi casi di bambini vittime di abusi sessuali da parte di personale religioso della Chiesa cattolica nel territorio dello Stato italiano e per il basso numero di indagini e azioni penali da parte della magistratura italiana». Gli emissari del governo di fronte alle domande e alle sollecitazioni degli investigatori di Ginevra fecero un’imbarazzante scena muta. Arrivando a trincerarsi dietro la scusa di non essere dei tecnici. Con il risultato che, a distanza di tre anni, i seminari minori non solo in Italia esistono ancora, mentre in altri Paesi sono quasi del tutto scomparsi, ma addirittura ce ne sono alcuni in più.
— L’inchiesta di Federico Tulli è stata pubblicata su Left del 25 febbraio 2022